LUCIO FONTANA E LA SCULTURA CERAMICA.

“Di famiglia italiana, ma argentino di nascita, a Milano frequentò L’Accademia di Brera dedicandosi alla scultura; rientrato a Buenos Aires redasse il Manifiesto blanco con cui pose le basi del movimento spazialista. Nei primi anni 50 realizzò tele con buchi a cui fecero seguito i celebri tagli. Nelle sue realizzazioni artistiche utilizzò numerose tecniche, sia in pittura che in scultura che nella ceramica”. In queste poche righe è riassunta, la carriera di Lucio Fontana, uno degli artisti italiani più importanti del 900. L’ultima parola dell’introduzione, CERAMICA, ha tuttavia un significato profondo nell’opera di Fontana. La scultura è per Fontana, un punto di partenza importante, in quanto frequenta il laboratorio del Padre Luigi scultore figurativo molto apprezzato in Argentina. La famiglia Fontana era abbastanza agiata e Lucio studia in Italia e nel 1917 parte volontario per il primo conflitto mondiale. Una volta congedato ritorna in Argentina. Nel 1927, approda nuovamente in Italia e frequenta l’Accademia di Brera. In questo contesto, incontra un gigante della scultura novecentesca, Adolfo Wildt, che lo considera il migliore dei suoi allievi. Nel 1932 termina gli studi e “delude” il proprio maestro e nelle sue parole scritte, negli anni Sessanta ne presenta un ricordo: “Avevo per guida un grande maestro: Wildt, ero considerato l’allievo migliore del corso. E Wildt, anzi, mi aveva espresso più volte che io diventassi continuatore della sua arte. Invece, appena uscito dall’Accademia, ho preso una massa di gesso, le ho dato una struttura approssimativamente figurativa di un uomo seduto e le ho gettato addosso del catrame. Così, per una reazione violenta. Wildt si è lamentato, e cosa potevo dirgli? Avevo una grande stima di lui, gli ero riconoscente, ma a me interessava trovare una nuova strada, una strada che fosse tutta mia. Aveva ragione, sotto la fronda dei grandi alberi non cresce nulla. L’approccio alla scultura descritto in questo testo lo guiderà per tutta la sua carriera e in particolare lo applicherà alla scultura ceramica. Gli esordi sono figurativi ma già si intravvede una smaterializzazione delle opere attraverso il colore, l’azzurro del campione olimpico del 1932, l’oro di Mujer con mascara del 1940, fino ad approdare alle sculture ceramiche percorse da un approccio barocco, per terminare infine con i buchi e tagli nel materiale ceramico. Il colore nelle sculture di Fontana rappresenta una seconda pelle che concretizza le forme solide dando risalto al pieno e al vuoto. Nel 1937, per tre mesi, da settembre a dicembre, approda alle manifatture di Sévres in Francia, dove produce numerosi pezzi scoprendo le potenzialità del grès, materiale che utilizzerà anche successivamente. Della produzione francese di Fontana rimangono poche testimonianze. La manifattura distruggerà buona parte della produzione del 1937 nel 1968. Dopo l’esperienza francese Fontana continua, in Liguria presso la manifattura Mazzotti, la sua produzione di sculture ceramiche. Le esporrà successivamente a Milano, in una serie di mostre che porteranno il lavoro di Fontana all’attenzione della critica e del pubblico. Nel 1940, sollecitato dal padre, torna in Argentina, per partecipare al concorso per il monumento Nazionale a la Bandera. Fontana non vincerà il concorso ma rimarrà comunque in Argentina fino al 1947. In Argentina, stimolato dall’insegnamento presso la scuola d’arte di Altamira pubblica, il Manifiesto Blanco. Si tratta di un documento programmatico, in cui Fontana definisce i canoni di una nuova arte, slegata dai canoni classici della scultura e della pittura e strettamente legata alle dimensioni di tempo e spazio. Questo testo avrà un seguito con i manifesti spazialisti, il primo di questi vedrà la luce nel 1951.Tornato in Italia riprenderà la produzione di sculture ceramiche spingendosi verso la produzione definita barocca in cui il dinamismo delle figure unito al colore esalta la materia. A metà degli anni 50 questo approccio barocco lo trasferisce anche nella produzione di figure sacre. Già nel 1947 produce le 14 stazioni della via Crucis a cui faranno seguito altre due versioni una del 1955 e un’altra del 1956-57. La produzione si espande anche a crocefissi e deposizioni dalla croce che vengono acquistati dai collezionisti. Sempre negli anni 50 partecipa, senza fortuna, al concorso per la realizzazione della V porta del duomo di Milano. Negli stessi anni continua la ricerca parallela di Fontana sul tema spaziale, quasi contemporaneamente dalla tela i buchi e i tagli si ritrovano anche nella produzione ceramica. Oggi queste opere sono molto ambite dai collezionisti di tutto il mondo, la produzione va da semplici tavolette forate o tagliate ai vasi bucati che richiamano un’arte orientale, alle grandi sfere intitolate Nature. Una produzione vasta e variegata che parte da un pensiero in cui Fontana dice: “non sono un ceramista ma uno scultore”. Per l’artista la ceramica è un mezzo per fare arte plasmando direttamente l’opera e arricchendola con il colore generando così un pezzo unico, un’opera d’arte assoluta. Nel 1968 Fontana muore e lascia alle generazioni successive un patrimonio culturale che spazia dalla pittura passando per la scultura e per l’architettura con le note collaborazioni con gli architetti in auge a quel tempo. Alla fine degli anni 50 Fontana, quasi sessantenne, rimaneva una meravigliosa promessa. Lo scriveva Lionello Venturi aggiungendo: “Forse la colpa è nostra, che non abbiamo sufficiente fantasia per seguirlo”. Aveva ragione e forse ancora oggi, non solo non siamo in grado di seguirlo, ma lui è a una distanza siderale, nello spazio profondo di un’arte assoluta.

Paolo Camporese

 

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