LEONCILLO LEONARDI CERAMISTA.

Leoncillo Leonardi è un artista che racconta il suo tempo attraverso una materia considerata povera, la ceramica. Nasce a Spoleto nel 1915 e in giovane età nel 1935 si insedia a Roma dove frequenta “la scuola romana” di Cagli e Libero De Libero. Frequenta inoltre il pittore Scipione da cui trae ispirazione per la rielaborazione di miti orfici, apollinei e neoumanistici: ne sono un esempio le opere come l’Ermafrodito e l’Arpia. Già in queste prime apparizioni nello scenario artistico Leoncillo mostra una tecnica di modellazione tipica dei figurinai e dei vasai accompagnata da una abilità inconsueta nell’uso degli smalti. Avrà modo di diventare maestro in quest’arte dirigendo dal 1939 al 1941 una manifattura di ceramiche a Umbertide in Umbria. Da questa esperienza porterà con sé l’impiego di smalti semplici come la ramina e l’ossido di stagno e i segreti dell’uso dei forni per la cottura delle ceramiche. Questo bagaglio tecnico gli consentirà di mostrare la propria abilità anche nell’approntare arredi di uso comune impregnati comunque della sua vena artistica. Alcuni esempi sono un servizio da thè ed uno da caffè, calici sbilenchi, piatti da parete, un modello per camino e una cornice per specchio.

Leoncillo usa quindi la ceramica come mezzo espressivo, un materiale che ben si attaglia alla sua figura di scultore proletario e antifascista. Si ritiene a torto la ceramica un materiale povero ma Leoncillo ne andava fiero e diceva: sono nient’altro che un ceramista, sottolineando così un certo distacco dall’ambiente artistico-intellettuale. Il suo impegno è al contempo artistico e politico, antifascista, rimane iscritto al partito comunista fino all’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica nel 1956. La sua militanza è accompagnata da una fase neocubista che investe l’Italia nel dopoguerra e per Leoncillo non si tratta della mera acquisizione di una grammatica poiché anche in questo caso l’artista filtra e condensa. I colori che impiega sulle superfici cubisteggianti arricchiscono la forma rendendola più piena. Un esempio è la scultura i “Minatori” dove la superfice cubica appena in rilievo è trattata con smalti colorati; non si tratta più delle forme rigonfie degli esordi essendo qui l’aspetto cromatico  preminente. Di questo periodo sono la dattilografa, la centralinista e opere di ampio respiro come il monumento alla resistenza di Albisola a mare del 1954.

Leoncillo definisce gli anni del neocubismo “gli anni buttati”e dopo il 1956, caduti i valori saldi e perenni in cui credeva partendo dalla natura, apre la strada dell’informale italiano nel campo della scultura unendosi alle esperienze di Lucio Fontana. In questo periodo usa le soluzioni di modellato di inizio carriera, le forme tornano ad essere rigonfie e abbondona i lucidi piani cubisti: è la stagione che chiude la sua esperienza artistica. Di questo periodo sono da ricordare opere come le Rose, il Cespuglio e la Mortella. Di sculture come queste è composta la sala che la biennale gli dedica nel 1968 anno della sua morte a soli 53 anni.

Artisti come Leoncillo vengono riscoperti a distanza di anni dalla morte e non certamente dalla critica e dal mercato italiano ma dall’estero. Un’opera di Leoncillo è stata recentemente battuta all’asta a Londra per oltre 200.000 sterline mentre qui in Italia, nella sua città natale, una sua scultura sta per essere venduta, probabilmente all’estero, per chiudere i conti di un fallimento. Leoncillo è uno dei tanti artisti di valore espressi dal novecento italiano che non vengono tutelati dalla memoria collettiva, ma nonostante questo riemergono in modo impetuoso come vessilli dell’arte italiana.

Paolo Camporese